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Visualizzazione dei post da 2014

Eurocrisi: il conto alla rovescia non si è fermato

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L’Unione monetaria europea sta accelerando la corsa verso la deflagrazione. Con la crisi intervenuta sul finire del 2007, l’eurozona non è più cresciuta e i processi di divergenza tra le aree centrali e quelle periferiche si sono intensificati, divenendo quasi irresistibili. La tesi della Commissione Europea – secondo cui la moneta unica e l’integrazione commerciale, combinate con le politiche di austerità e la flessibilità del mercato del lavoro, aumenterebbero la coesione tra i Paesi Europei – ha perso ogni credibilità.[1] È ormai evidente che, continuando con le politiche attuali, e con l’impossibilità di compensare gli squilibri macroeconomici mediante le svalutazioni, l’esplosione dell’euro è solo una questione di tempo, come se avessimo da tempo innescato una bomba a orologeria.  Continua su Economia e Politica  

L'austerità perde sponsor, ma non è finita

Il Corriere della Sera, che pubblica regolarmente contributi di Alesina e Giavazzi in favore dei tagli alla spesa pubblica, può essere considerato uno dei maggiori sponsor dell'austerità. Per questa ragione, può stupire che il quotidiano abbia pubblicato un articolo di Riccardo Realfonzo che, ricordando che l'economia è ripartita in paesi come USA e Giappone in cui la spesa pubblica è stata aumentata piuttosto che ridotta, informa i lettori dell'esistenza del referendum "stop austerità" . Se il rigore dei conti pubblici è diventato una sorta di dogma da rispettare ad ogni costo, infatti, molto è dovuto all'appoggio mediatico di cui gode da anni. Sono in molti, ad esempio, ad essere convinti che l'Italia abbia una spesa pubblica troppo elevata, ma i dati dimostrano il contrario: la spesa di scopo (al netto degli interessi sul debito) è inferiore alla media europea sia se calcolata in percentuale al Pil sia se calcolata pro-capite e, in realtà, è og

Fuori dal carro

Non può che dispiacere l’esodo da Sel al Pd. Così come non può che dispiacere l’esodo dalle varie correnti del Pd alla corrente renziana. Nulla contro Renzi, ovviamente. Lui e il suo governo, però, non hanno certo bisogno di altri supporter ma, al contrario, di un’opposizione. Tra i tanti buoni propositi, infatti, ci sono anche tante misure , come la precarizzazione del lavoro o le privatizzazioni, che meritano solo e soltanto opposizione. E, se fuori dal carro del vincitore sono sempre di meno, chi la farà? 

Super Mario?

La Banca centrale europea di Mario Draghi è intervenuta di recente con le misure più disparate, dai tassi negativi sui depositi delle banche fino alla liquidità condizionata, al fine di stimolare il credito e l'economia in Europa. Come fa notare Adair Turner , però, è la stessa Bce a riconoscere nel proprio Bollettino mensile che la  disponibilità di credito è anche cresciuta, ma i prestiti nel settore privato si sono comunque ridotti nel corso dell'ultimo anno e, soprattutto, più rapidamente di prima ( da -0,6% a -2 %) . Nel Bollettino, quindi, si riconosce che è l a domanda il driver principale di un'espansione del credito . Citando Turner, dunque, " deleveraging privato e consolidamento fiscale stanno limitando la crescita dell'Eurozona molto più del le rimanenti limitazioni sull'offerta di credito " . Super Mario, insomma, non può garantire la ripresa dell'economia se prima non si rovescia il paradigma dell'austerità fiscal

Sulle elezioni europee

Domenica si vota per le europee e di tutto si è parlato tranne che di programmi concreti. Gli europarlamentari che voteremo, però, saranno quelli che decideranno chi sarà il prossimo Presidente della Commissione europea, quella che ha davvero potere nell’Unione e che, finora, ha imposto austerità a tutto il continente con drammatiche conseguenze come tagli alla sanità e disoccupazione .   Mi sconforta parecchio, infatti, che i candidati più favoriti, ossia il tedesco Schulz (sostenuto dai futuri europarlamentari del PD) e il lussemburghese Juncker (sostenuto da FI), promettano altre misure d’austerity in futuro se eletti Presidente: chi più morbido e chi più rigido , entrambi escluderebbero una coraggiosa politica espansiva contro lo smantellamento del welfare e la disoccupazione. Non è un caso, infatti, che i due non escludano larghe intese dopo il voto. E' per questo che il popolo greco, che ha sofferto più di tutti le conseguenze dell'austerità, sta premiando il pa

Il Manifesto di Rethinking Economics

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Appello per il pluralismo nella ricerca e nell'insegnamento dell'economia politica che ho promosso raccogliendo adesioni all'Università del Sannio Rethinking Economics è una rete di studenti di tutto il mondo che dinanzi all'egemonia del pensiero unico neoclassico-liberista promuove  la pluralità nella ricerca e nell'insegnamento dell'economia politica. La Dichiarazione globale per il pluralismo nell'economia è promossa ora anche in Italia.  Un appello da sottoscrivere e far circolare: Manifesto di Rethinking Economics .

L’esempio USA: una politica espansiva contro la disoccupazione

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L’Italia e l’Unione europea scelgono di affrontare la crisi del 2008 con politiche di austerità, in particolare con tagli alla spesa pubblica, e di ignorare appelli contrari come la Lettera degli economisti che già nel 2010 mette in guardia sulle conseguenze in termini di elevata disoccupazione e sui rischi di tenuta dell’eurozona. Negli Stati Uniti, invece, nel 2009 viene adottata una politica espansiva da 800 miliardi di dollari come l’ American Recovery and Reinvestment Act (ARRA) . Il dibattito sulla sua efficacia si accende sin dai primi annunci. Nel gennaio 2009 duecento economisti, tra cui Michele Boldrin e Alberto Bisin, firmano un appello per esprimere il proprio parere contrario e proporre tagli sia alla spesa pubblica che alle tasse, mentre economisti favorevoli alla politica espansiva, come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, criticano lo stimolo per i motivi opposti, considerandolo insufficiente [1] . Continua su Economia e Politica

La Sinistra e il Jobs Act di Renzi

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Il Parlamento sta convertendo in legge il decreto lavoro del governo Renzi, quello che ci precarizza ancora di più eliminando l’obbligo di indicare la causale dei contratti a termine e, cioè, il perchè quel contratto è solo temporaneo (alla faccia della "svolta buona"). Il premier, infatti, sostiene che maggiore flessibilità aiuti a ridurre il numero dei senza lavoro: "I dati sulla disoccupazione lo dimostrano" - ha dichiarato - "nel 2011 l'Uk era all'11% e l'Italia all'8,4%, ora loro sono al 7% e noi al 13%: in questi anni abbiamo perso troppa strada, noi abbiamo un sistema che manca di flessibilità" . Questa presunta correlazione, in realtà, non è dimostrata affatto. Come ricordava poco tempo fa Emiliano Brancaccio , i test dell’OCSE, la rassegna di 13 ricerche empiriche di Boeri e van Ours e persino il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, smentiscono l’esistenza di una correlazione tra ri

Costo del lavoro e (sovra)costo del capitale

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Secondo l' Eurostat , il famigerato costo del lavoro in Italia non è così alto come si sente ripetere sempre più spesso ma, al contrario, è in linea con la media europea.  Carlo Clericetti , inoltre, ricorda che in Italia il lavoro pesa in media solo del 15,3% sul totale dei costi di produzione e, come si vede dal grafico, anche in misura minore rispetto ai nostri concorrenti. Ci sono, dunque, ben altri costi che incidono sulla competitività delle imprese italiane.  Un esperimento interessante sarebbe replicare quanto fatto dagli economisti del Clersé in Francia: misurare il " sovraccosto del capitale ". Il costo economico del capitale è lo sforzo produttivo necessario per fabbricare gli strumenti, e più in generale, l’insieme dei mezzi di produzione, mentre il costo finanziario del capitale è composto dagli interessi versati ai creditori e dai dividendi pagati agli azionisti. Una parte di questi interessi e dividendi copre il rischio incorso da

Opportunità

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È già passato un   po’, ma non vorrei che ce le dimenticassimo le parole di John Elkann , l’erede degli Agnelli della Fiat, sui giovani che non troverebbero lavoro perché starebbero bene a casa. La maggior parte di noi si è tanto indignata perché sa di non avere le stesse opportunità di partenza che hanno quelli come lui, quelli che Occupy Wall Street chiama metaforicamente “l’un per cento”. A causa di queste forti diseguaglianze, per quanto ci diamo da fare tra studio, stage o lavoretti vari, quel mondo resta troppo lontano e può permettersi sogni che noi non possiamo. Se vogliamo avere tutti le stesse opportunità , però, credo che dovremmo cominciare a pretenderle davvero, come si faceva in passato. Non è un caso se oggi le diseguaglianze continuano a crescere, mentre si riusciva a ridurle con discreto successo prima, quando si era più “idealisti”. Dovremmo considerarci una comunità più che “imprenditori di sé stessi” in concorrenza l’uno contro l’altro. Non dovremmo toller

Pensiero ironico della sera...

quella rara volta che i grillini ne fanno una buona, rovinano tutto con insulti gratuiti e volgarità; quella volta che il Pd ne fa una buona, arriva l’altra metà del partito a chiedere una marcia indietro e spesso la ottiene; quelle volte che Sel ne fa una buona, non se ne accorge nessuno; i berlusconiani corrono pochi rischi di farne una buona, ma sanno vendersele tutte come buone (!)

Deficit pubblico, vincoli da sforare, Corriere dell'Irpinia

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Deficit pubblico, vincoli da sforare Corriere dell'Irpinia, 04 02 2014 

L'Europa e la regola infondata del deficit-pil al 3%

«Abbiamo stabilito la cifra del 3% in meno di un'ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica » , dichiara Guy Abeille a proposito del parametro deficit/Pil che gli stati membri dell'Unione europea sono tenuti a rispettare. Questo vincolo, però, impedisce di aumentare la spesa pubblica di un ammontare sufficiente a far ripartire l'economia e, quindi, ben oltre il livello corrente delle entrate fiscali, aumentando il deficit pubblico come insegnava John Maynard Keynes. Era il 1981, in Francia, e « Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro - spiega Guy Abeille - Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità» .  La decisione presa in meno di un'ora si basava sui numeri del deficit francese dell'epoca: «Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondev