Opportunità
È
già passato un po’, ma non vorrei che ce
le dimenticassimo le parole di John Elkann, l’erede degli Agnelli della Fiat, sui
giovani che non troverebbero lavoro perché starebbero bene a casa. La maggior
parte di noi si è tanto indignata perché sa di non avere le stesse opportunità
di partenza che hanno quelli come lui, quelli che Occupy Wall Street chiama metaforicamente
“l’un per cento”. A causa di queste forti diseguaglianze, per
quanto ci diamo da fare tra studio, stage o lavoretti vari, quel mondo resta
troppo lontano e può permettersi sogni che noi non possiamo.
Se
vogliamo avere tutti le stesse opportunità, però, credo che dovremmo cominciare
a pretenderle davvero, come si faceva in passato. Non è un caso se oggi le
diseguaglianze continuano a crescere, mentre si riusciva a ridurle con discreto
successo prima, quando si era più “idealisti”.
Dovremmo considerarci una comunità più che “imprenditori di sé stessi” in
concorrenza l’uno contro l’altro. Non dovremmo tollerare altra “flessibilità”,
se negli ultimi vent’anni ha dimostrato di produrre lavoratori sottopagati sotto ricatto e, quindi, vantaggi solo per pochi. Non dovremmo aver paura di
patrimoniali e tasse sull’eredità, se colpiscono chi ha di più per
ridistribuire a tutti gli altri. Non dovremmo meravigliarci di chi vuole tassare
molto i redditi alti, se negli anni ’50 economie forti come gli USA avevano
aliquote marginali persino del 90%. Non dovremmo rinnegare i controlli sui capitali, se sempre più aziende e persone si rifugiano dove si pagano meno le
tasse o i lavoratori e, di conseguenza, spingono a riduzioni di aliquote e salari un po’
dovunque. Non dovremmo accettare tagli come quelli all’istruzione pubblica e
alle borse di studio, se poi si finanziano le scuole private dove va quel
metaforico “un per cento” riducendo le opportunità per tutti gli altri.
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