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Visualizzazione dei post da 2016

La competitività italiana. Le imprese, i territori, le cittàmetropolitane, AA VV, Franco Angeli

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Questo Rapporto prende in esame la competitività dei sistemi produttivi, dei territori e delle città metropolitane italiane mediante alcuni indicatori innovativi, che si propongono di superare le difficoltà teorico-metodologiche presenti nei più noti studi delle istituzioni internazionali. L’esame viene condotto mediante l’elaborazione di due indicatori relativi alla dotazione produttiva e al contesto territoriale, e di un indice sintetico che tiene conto di queste due “dimensioni” della competitività. Le elaborazioni muovono da dati ufficiali, si spingono al livello delle province e delle città metropolitane e i risultati sono di sicuro interesse. Emergono, infatti, informazioni nuove e un quadro del Paese meno consueto e più articolato rispetto alle rappresentazioni abituali, in cui ad esempio alcune realtà territoriali settentrionali registrano performance inferiori ad altre meridionali e in cui le disparità nelle dotazioni infrastrutturali e produttive delle città metropolitane em

Brexit o remain? Ovvero la guerra commerciale anglo-tedesca (con Riccardo Realfonzo)

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Gli squilibri delle bilance commerciali e i profondi processi di divergenza in atto nell’Unione Europea: sono queste le ragioni macroeconomiche di fondo del referendum sulla Brexit. Questioni con le quali, qualunque sarà l’esito del referendum, l’Europa dovrà fare i conti. Il referendum sulla Brexit fa suonare un nuovo campanello d’allarme sugli squilibri macroeconomici che dominano l’Unione Europea. Come già rilevato dal “ monito degli economisti ” pubblicato nel 2013 dal  Financial Times , l’Europa è preda di  processi di divergenza  interna sempre più intensi, che allontano ogni giorno di più i Paesi periferici, Italia inclusa, dai ritmi di crescita della Germania. Questi squilibri crescenti interessano anche i conti con l’estero dei Paesi europei ed è qui che riposano le principali ragioni economiche che hanno spinto parte dei britannici a invocare una uscita dall’Unione. A ben vedere, infatti, il principale problema che investe il Regno Unito, accentuatosi dopo la crisi

La Grecia, i creditori, il debito

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Da quando nel 2010 la Troika è subentrata nella gestione della crisi greca, imponendo austerity in cambio di aiuti finanziari, il debito pubblico del Paese è cresciuto di circa il 21% rispetto al Pil (dati Ameco).  In particolare, le misure imposte dai creditori miravano a ridurre il debito pubblico tramite la realizzazione di surplus di bilancio anno per anno. In altre parole, tagliando la spesa pubblica ed aumentando le tasse la Grecia si sarebbe indebitata sempre meno e avrebbe anche ripagato gli aiuti finanziari concessi. Il problema è che questa ricetta non era e non è sostenibile. Da un lato, infatti, il debito pubblico in valore assoluto si è ridotto (-6% dal 2010 al 2015) ma, dall'altro, l' austerity ha provocato un crollo del Pil di ben il 22%. Se il Pil si riduce ad un ritmo superiore del debito, il rapporto Debito pubblico - Pil, ovviamente, cresce.  Ben venga dunque il taglio del debito che chiede Tsipras, messaggio politico di forte impatto mediatico, pur