L'uso politico dello spread
Dopo mesi e mesi in
cui gli italiani stavano dimenticando la parola "spread" ed il suo
significato (ricordiamolo: differenza tra quanto paga di interessi lo Stato
italiano su propri titoli del debito pubblico, Btp a 10 anni, e quanto paga
quello tedesco sui suoi, i Bund), i titoli di giornali e telegiornali la
ripropongono di nuovo. La ragione è semplice: il differenziale è sotto i 200
punti base e non accadeva da luglio 2011.
Gli esponenti del
governo, ovviamente, prendono la palla al balzo per rivendicare il merito di
questa buona notizia: "indica che i mercati apprezzano l'operato del
governo, il suo impegno per il mantenimento della stabilità dei conti e
per l'avvio delle riforme, sia istituzionali che economiche", commenta
Saccomanni.
Non bisogna
dimenticare, però, che lo spread è tra il rendimento dei Btp decennali italiani
e quelli tedeschi e, quindi, dipende per metà dai secondi. Ed infatti il 7
gennaio di quest'anno si leggeva su FinanciaLounge
che il rendimento a 10 anni dei bund tedeschi al 30 dicembre scorso ha
conosciuto il più grande aumento dal 2006 (+0,61%) e che questo,
"in abbinata al restringimento di quello del btp decennale italiano" ha
permesso la forte discesa dello spread sotto i 200 punti base.
Questa vittoria e
metà e, in particolare, la riduzione del costo del debito italiano sono
sicuramente buone notizie, ma non fanno i conti con la forte riduzione del
tasso di inflazione nel periodo considerato. Come spiegava il 3 gennaio Vito
Lops, oggi il costo reale del debito è maggiore, e non minore, rispetto
alla primavera del 2011. Secondo i suoi calcoli, infatti, il 4,7% pagato
sui BTp due anni fa va decurtato per il 2,6% di inflazione di allora, mentre il
costo nominale odierno del 3,94% va rapportato al tasso di inflazione attuale
dello 0,7%. Si ottiene, quindi, un costo reale del 2,1% del passato contro un
ben maggiore 3,24% di oggi.
A spegnere
ulteriormente l'entusiasmo e a far capire che l'Italia non abbia molto da
festeggiare è il confronto tra l'andamento del nostro spread e quello degli
altri paesi europei. La lavoce.info
dimostra col seguente grafico che nel 2013 lo spread italiano è calato
molto più lentamente (32%) di quello di Irlanda (54%), Spagna (44%), Francia
(37%) e Portogallo (35%).
Alla luce di tutte
queste considerazioni, appare fuori luogo celebrare la discesa dello spread
sotto i 200 punti base come un premio del mercato per l'operato del governo e
per il suo impegno nel garantire la cosiddetta stabilità dei conti. Il
"merito" va anche e soprattutto all'andamento dei Bund tedeschi, dato
che gli altri paesi europei registrano performance migliori della nostra nei
loro spread.
Anche il governo
precedente, quello di Mario Monti, sosteneva che le proprie politiche
d'austerità finalizzate a rimettere a posto i conti fossero riuscite a ridurre
lo spread e la minaccia di una sua risalita aiutava a mandar giù tagli e tasse,
ma economisti come Realfonzo e pubblicisti come Gawronski dimostrarono
che, al contrario, il calo era dovuto a ben altri fattori, dagli annunci della
Bce agli accordi sul fondo salva-stati, e non certo all'austerità .
Se si vuole giudicare il governo italiano e la governance
europea, sarà meglio farlo sui drammatici dati sulla disoccupazione, sul Pil,
sulle diseguaglianze ecc. e non sullo spread, a cui viene attribuito il
significato che più conviene quando conviene.
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