Lettera aperta sullo sciopero dei servizi pubblici del 9 dicembre

Caro dipendente pubblico, 

ti scrivo perchè, dopo qualche anno di precariato senza diritti e senza certezze, sono anch’io diventato un dipendente pubblico a tempo indeterminato. Oggi godo di una serie di diritti che spero possano essere presto estesi a tutti i lavoratori nella misura più consona ai loro settori di riferimento. Lo spero ardentemente anche perchè sono stato precario fino a poco fa e so cosa vuol dire. Spero anche che noi stessi saremo in grado di tenerceli questi diritti e, soprattutto, di adeguarli, senza compromessi al ribasso, ad un mondo in continua evoluzione. Come ci insegna la Storia, queste speranze non possono che essere speranze di lotta. Lotta per i propri diritti e per quelli degli altri, con mezzi nuovi e con mezzi tradizionali, come lo sciopero, ad esempio. 

Il 9 dicembre, data in cui i sindacati del pubblico impiego hanno proclamato lo sciopero del comparto, noi del settore pubblico siamo tenuti a garantire comunque i servizi essenziali. Forse non tu in prima persona, forse non io. Ma lo prevede la legge e nessuno dei nostri compagni, familiari o amici del settore privato resterà senza l’assistenza essenziale quel giorno. Ci sarà disagio. E’ inevitabile, come in ogni lotta per i diritti. Scioperando perderai ovviamente la tua paga, per quel giorno, ma è per una giusta causa: ci sono migliaia di lavoratori nel settore pubblico estremamente precari e senza futuro - come quelli della sanità, per fare un esempio che ci sta particolarmente a cuore in questo periodo - che hanno bisogno di stabilizzazione, ora più che mai; ci sono ospedali ed amministrazioni a corto di personale da anni e lo abbiamo visto anche e soprattutto durante quest’emergenza sanitaria e sociale, per cui nuove e massicce assunzioni vanno fatte da subito; ci sono, inoltre, risorse insufficienti per le nuove esigenze della sicurezza ai tempi della Covid-19 e per i contratti nazionali, fermi da talmente tanto tempo da vedere i funzionari italiani sempre tra gli ultimi in Europa. 

Nonostante i servizi essenziali siano sempre e comunque garantiti, ti diranno che non è il momento di scioperare. Lo diranno, molti di essi, perché in realtà non vogliono che da questa drammatica crisi che ha travolto l’economia di mercato si risollevi l’indispensabile ed imprescindibile mondo del pubblico impiego. Non vogliono, tanto per fare degli esempi, una sanità pubblica, una scuola pubblica e una previdenza pubblica ricche di risorse finanziarie ed umane, perché questo restringerebbe gli spazi di conquista dei capitali privati in quegli stessi settori. E lo diranno anche perché la lotta è contagiosa. Se i lavoratori di una categoria rivendicano diritti, poi potrebbero farlo anche gli altri. Per questo provano a contrapporre gli interessi dei lavoratori e dei professionisti privati a quelli dei lavoratori pubblici, cercando di nascondere e proteggere i veri privilegiati di questo Paese. Come spiegare ad esempio le recenti proposte di “contributo di solidarietà” a carico degli statali? Un prelievo sulle buste paga dei lavoratori attivi c’è già e può essere rimodulato come si vuole. Si chiama imposizione fiscale ma, evidentemente, essi temono che con le tasse, in generale, si possano colpire anche e soprattutto i più ricchi o i grandi patrimoni, in un Paese in cui - ricordiamocelo sempre - il 20% della popolazione possiede ben il 70% della ricchezza. 

Mi sto dilungando, ma la strategia di impoverimento del settore pubblico ha una storia molto lunga e articolata. Quello che sto cercando di dire è che i diritti non sono affatto una cosa scontata. L’ho visto sulla mia pelle. E sto cercando di dire che sottrarli a noi non vuol dire darli ad altre categorie. Anzi, è come in un domino dove i diritti di tutti possono cadere uno dopo l’altro. E’ un momento drammatico ed il mondo del lavoro, tutto, rischia di uscirne ancora una volta più debole. E’ quello che dobbiamo impedire con il nostro lavoro quotidiano da dipendenti pubblici, con le nostre rivendicazioni in forma collettiva e con le nostre lotte politiche.   




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