Ridurre l'orario di lavoro è progresso, FP

Ridurre l'orario di lavoro: un tema che, tra le polemiche, ritorna sulla scena politica di queste settimane. Qualche dato, qualche riflessione su domanda/offerta e qualche retaggio del passato in un mio contributo per Futuro Prossimo (fonte).
Con la crisi innescata dalla pandemia da Coronavirus sono tornate in auge le proposte politiche di riduzione dell’orario di lavoro. Ci sono proposte di natura e di orizzonti diversi ma tutte condividono in larga parte l’obiettivo di breve periodo di redistribuire le occasioni di lavoro esistenti tra un numero maggiore di individui. 
Lo scontro politico più evidente si è consumato dinanzi alla proposta di ridurre l’orario di lavoro a parità di retribuzione, verso la quale le parti datoriali hanno mostrato una decisa e dura opposizione. Una levata di scudi singolare per la classe dirigente di un Paese in cui, secondo l’OCSE, i lavoratori dipendenti lavorano in media 1.586 ore all’anno contro, ad esempio, le 1.305 ore della Germania e le 1.420 ore della Francia, a fronte di una situazione opposta sul versante retributivo, con salari medi annui pari a 37.482 dollari in Italia e pari, rispettivamente, a 47.010 e 43.309 negli altri due Paesi. In altre parole, l'orario che non si vuole ridurre non è poi così basso da impedirlo ed i salari che, nel caso, non si vorrebbe tenere costanti non sono poi così elevati. Vi sono senza dubbio ragioni di carattere strutturale, legate all’impiego del capitale, al lavoro ed al tessuto socio-economico a spiegare variabili simili ma - considerando che neanche con questi numeri il nostro Paese registra performance di produttività elevate - temere una perdita di competitività per simili proposte vuol dire scaricare le responsabilità della produzione solo e soltanto sul fattore lavoro
Ci sono scelte di politica economica di natura strategica e lungimiranti che devono essere compiute. Una di queste riguarda anche la redistribuzione del lavoro alla luce non solo dell’emergenza pandemica, ma anche alla luce dei secolari guadagni di produttività che la tecnologia continua a rendere possibili. Redistribuire questi guadagni vuol dire redistribuire sia il reddito (aumentando il rapporto tra retribuzioni e profitto) e sia l’orario di lavoro (riducendo il rapporto tra lavoro e tempo libero). Dal lato dell’offerta, una simile politica può funzionare anche da stimolo a riorganizzazioni ed innovazioni per capitalizzare al meglio le ore di lavoro retribuite e, dal lato della domanda, può funzionare da stimolo per i consumi, anche alla luce dell’elevato contenuto tecnologico - e quindi del maggior tempo di utilizzo che richiedono - molti dei beni realizzati oggigiorno. 
Ma, soprattutto, si tratta di dedicare più tempo agli affetti e al proprio benessere grazie alle conquiste di un altrimenti asettico e freddo progresso tecnologico. È finito il tempo - o almeno ce lo auguriamo - in cui un lontano Ottocento descritto da Edmondo De Amicis in Primo Maggio divideva chi chiedeva la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore per goderne di altre otto per dormire e otto di libertà e chi, tra i borghesi del tempo, commentava incredulo e indignato: «E che vogliono farne di queste otto ore di libertà?».
Fonte: il blog di Futuro Prossimo


Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay 

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