Le conseguenze del primo Brunetta sul mondo del lavoro

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In apertura, anche le mie riflessioni sul ritorno di Brunetta come Ministro della Funzione Pubblica: "Le conseguenze del primo Brunetta sul mondo del lavoro".


Con il giuramento al Quirinale dello scorso 13 febbraio, la Pubblica Amministrazione ha ufficialmente un nuovo ministro, l’On. Renato Brunetta. Si tratta di una personalità che ha già ricoperto lo stesso ruolo dal 2008 al 2011 e non solo generando la contestata riforma che porta il suo nome, ma anche alimentando un aspro clima sociale nei confronti dei lavoratori pubblici a colpi di virulenti epiteti come “fannulloni” o “la peggiore Italia” che risuonano ancora oggi nelle menti di molti di noi.

Simili modalità comunicative ebbero l’effetto di costruire una narrazione utile a giustificare alcune delle normative più regressive per il mondo del lavoro pubblico. Come ha già ricordato infatti la segretaria nazionale della FP CGIL, Serena Sorrentino, in quegli anni Brunetta ha bloccato la contrattazione, verticalizzato l’organizzazione del lavoro, limitato il diritto alla formazione, favorito le esternalizzazioni ed il precariato e, attraverso una indiscriminata decurtazione della retribuzione, ha anche ridimensionato il diritto alla malattia dei dipendenti, oltre ad assecondare un importante blocco del ricambio generazionale.

L’effetto perverso di simili politiche è sotto i nostri occhi: le pubbliche amministrazioni italiane sono ancora oggi sotto-organico ed i suoi dipendenti sono tra i meno numerosi ed i meno retribuiti di tutta Europa. Secondo l’OCSE, infatti, in Italia abbiamo solo 55,71 lavoratori pubblici ogni mille abitanti a fronte, ad esempio, dei 56,18 della Germania, dei 77,73 del Regno Unito, dei 91,40 della Francia o dei 143,67 della Svezia. Riguardo invece al costo del lavoro pubblico, secondo i dati Ameco della Commissione europea, ai dipendenti delle pp. aa. italiane viene destinato solo il 9,67% del Pil nazionale, a fronte del 10,13% medio di tutta l’Unione europea; per avere un ordine di grandezza, basti pensare che in questa classifica l’Italia si colloca in coda, ben 24esima tra 28 Paesi UE. In fondo, è anche per queste ragioni che abbiamo scioperato, al grido di “Rinnoviamo la Pubblica Amministrazione”, lo scorso 9 dicembre.

L’impronta che ha lasciato il ministro Brunetta con la sua precedente esperienza a Palazzo Vidoni è dunque fatta di contratti non rinnovati, riduzione del personale, precarietà e ridimensionamento dei diritti. Questo non vuol dire soltanto che da allora i dipendenti pubblici hanno subìto un importante arretramento nelle proprie condizioni di lavoro e nei propri diritti. Rimuovere e ridurre diritti ad una categoria vuol dire colpire tutto il mondo del lavoro perché, mattone dopo mattone, vengono a cadere le mura dei diritti che i sindacati dei lavoratori hanno costruito in anni e anni di lotta e di contrattazione. In altre parole, è come in un domino dove i diritti di tutti i lavoratori possono cadere più facilmente uno dopo l’altro. Inoltre, il mondo del lavoro paga due volte gli effetti di questo genere di politiche, perchè pubbliche amministrazioni povere e sotto-organico rischiano di tradursi più facilmente in servizi pubblici poveri e meno efficienti. Ad esempio, le prestazioni che eroghiamo come INPS (e così come tanti altri servizi garantiti da altre pubbliche amministrazioni) sono innanzitutto prestazioni ad altri lavoratori, ex lavoratori, ai disoccupati e alle classi popolari.

È per queste ragioni che dobbiamo investire nella Pubblica Amministrazione e nelle sue risorse umane. Il passato del Ministro Brunetta, purtroppo, ci racconta invece di politiche reazionarie nei confronti dei lavoratori. Un passato che, per il bene di tutto il mondo del lavoro, ci auguriamo sia consegnato alla Storia. Quello che chiediamo è un cambiamento radicale.

Fonte: BeInps - il blog della Fp Cgil Inps






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