Lockdown 2.0 perché la politica ha rinunciato a guidare l’economia, ma da molto tempo

Ci meravigliamo e ci indigniamo per la cattiva gestione della fase 2 dell’emergenza. Ci meravigliamo e ci indigniamo perché è mancata una programmazione organica e coerente di lungo periodo. Eppure, sono decenni che abbiamo rinunciato a programmare e a guidare i processi economici. Una riflessione per il blog del collettivo Futuro prossimo.


In tutta Italia si continua a scendere in piazza contro i nuovi lockdown e le nuove restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm firmato da Conte, anche e soprattutto perché ulteriori limitazioni al nostro vivere civile si traducono in nuove perdite per le attività economiche che danno da vivere a milioni di persone. Non si ripone molta fiducia nelle poche e scarse misure di sostegno al reddito previste nei nostri ordinamenti e la legittima paura per il futuro prende il sopravvento su qualunque rassicurazione provenga dalle istituzioni. Di fatti, il compromesso che le economie capitalistiche hanno stretto con la democrazia durante il Novecento, sviluppando importanti sistemi di welfare per il sostegno delle donne e degli uomini che restano fuori dai circuiti economici, sembra non reggere davanti all’ondata distruttrice di un male che ci costringe a chiuderci in casa o comunque a limitare i nostri rapporti sociali. 

Ci meravigliamo e ci indigniamo dunque per la cattiva gestione della fase 2 dell’emergenza. Ci meravigliamo e ci indigniamo perché è mancata una programmazione organica e coerente di lungo periodo che ci accompagnasse dalla fase 1 alla fase 3 nel modo più sereno e sostenibile possibile. Ci meravigliamo che non ci sia stata una programmazione degna di questo nome. 

Eppure sono decenni che abbiamo rinunciato a programmare. Sono decenni che ci affidiamo al libero mercato, alle presunte virtù di una sedicente concorrenza e all’autonomia in salsa protoleghista delle Regioni. Sono decenni che la politica nazionale ha rinunciato a governare i processi economici con grandi politiche industriali, con investimenti pubblici e con tutte le forme più o meno dirette di pianificazione. Abbiamo lasciato che privatizzassero energia, banche ed autostrade ed assistiamo ancora oggi a mille tentativi di privatizzare, più o meno direttamente, anche attraverso i tagli alla spesa pubblica che li stanno impoverendo, settori come la previdenza, l’istruzione e la sanità. Abbiamo rinunciato all’intervento pubblico nell’economia e quindi a programmare e a pianificare da molto tempo, ed ora il sistema politico-istituzionale non è in grado di farlo. Non è plasmato per questo. Non è disegnato per guidare la produzione e direzionare il credito. Non ha l’architettura istituzionale di chi decide come distribuire la ricchezza. Abbiamo semplicemente un sistema più liberista che liberale. Erano altri tempi quando Oskar Lange paragonava le economie capitalistiche ad un pallone aerostatico mosso dai venti e le economie socialiste ad un aeroplano guidato da un pilota o da un pilota automatico. Oggi non ci troviamo però nel mezzo di quei due estremi. La pandemia, se ce ne fosse stato bisogno, lo ha dimostrato platealmente: le nostre economie sono completamente in balia dei venti.

Ecco perchè non possiamo permetterci né di meravigliarci né di lasciare le cose come stanno. É tempo di riappropriarci dei nostri spazi per governare democraticamente i processi socio-economici, in modo da garantire lo sviluppo delle nostre economie ed essere pronti ad affrontare anche le peggiori sciagure che ci riserva il destino. É tempo di liberarci una volta per tutte della nostra larga noche neoliberal. É tempo di disegnare un modello di sviluppo diverso e ripartire.

Fonte: Futuro prossimo

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Immagine pixabay

Commenti

  1. Sono perfettamente d'accordo su quanto scrivi. La nostra economia è completamente lasciata allo sbando e siamo preda di conquistatori asiatici. Sto progettando un mio blog su questi argomenti.
    Ottima la tua analisi.

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