Quirinale
Colpi di scena e tradimenti. Un romanzo senza lieto fine.
Prefazione
Il Pd, con Bersani, ha tentato, se pur timidamente, la strada della socialdemocrazia. L'ex ministro ha creato una segreteria di giovani di sinistra, come Fassina, Orfini o Orlando, e cercato alleati a sinistra, come Sel. Le primarie lo hanno visto trionfare contro Renzi e le parlamentarie hanno visto trionfare soprattutto giovani di sinistra. Ma la resa dei conti è ancora da venire.
La tattica
Pd e Sel si riuniscono per decidere il proprio candidato alla presidenza della Repubblica. Il partito di Vendola e parte dei renziani decidono di non partecipare alla votazione perchè Bersani sponsorizza Franco Marini, che pare sia il nome di intesa col Pdl. La base, infatti, si ribella all'istante e invoca Rodotà. Il giurista, è bene ricordarlo, ha detto no al tav e sì all'acqua pubblica, no al pareggio di bilancio in Costituzione e sì al reddito di cittadinanza. E questo ci dice che, in realtà, c'entra ben poco con la linea politica dello stesso Pd. C'entra, invece, con quella di SeL, che lo vota. I renziani si dicevano disposti a votare Prodi e persino Amato, nonostante mal visto dagli italiani a causa del famoso prelievo notturno sui conti correnti. Ma il sindacalista Marini, proprio no. Le malelingue parlano, infatti, di semplice tattica. Al voto, comunque, Marini non ce la fa.
Il tradimento
Pd e SeL si mettono d'accordo: alla quarta votazione si vota compatti per Prodi. Il professore, però, si ferma a meno di 400 voti, cioè 101 in meno di quelli a disposizione del centrosinistra. Dato che SeL ha "segnato" le proprie schede, scrivendo R. Prodi, il centinaio di traditori sta tutto nel Pd. Il motivo è uno: resa dei conti per la conquista del partito. Si nascondono, ma sul banco degli imputati sono in molti. I dalemiani, ad esempio, che affosserebbero così Prodi, concorrente di D'Alema. I renziani, che vogliono la testa di Bersani dopo le primarie perse per farlo dimettere e scalare il partito. L'area più o meno moderata e cattolica che non ha mai digerito l'alleanza con Sel (e, ancor meno, le ultime notizie di unione col partito di Vendola) in previsione di una rottura in caso di larghe intese votando un candidato Presidente che ne fosse garanzia.
Prefazione
Il Pd, con Bersani, ha tentato, se pur timidamente, la strada della socialdemocrazia. L'ex ministro ha creato una segreteria di giovani di sinistra, come Fassina, Orfini o Orlando, e cercato alleati a sinistra, come Sel. Le primarie lo hanno visto trionfare contro Renzi e le parlamentarie hanno visto trionfare soprattutto giovani di sinistra. Ma la resa dei conti è ancora da venire.
La tattica
Pd e Sel si riuniscono per decidere il proprio candidato alla presidenza della Repubblica. Il partito di Vendola e parte dei renziani decidono di non partecipare alla votazione perchè Bersani sponsorizza Franco Marini, che pare sia il nome di intesa col Pdl. La base, infatti, si ribella all'istante e invoca Rodotà. Il giurista, è bene ricordarlo, ha detto no al tav e sì all'acqua pubblica, no al pareggio di bilancio in Costituzione e sì al reddito di cittadinanza. E questo ci dice che, in realtà, c'entra ben poco con la linea politica dello stesso Pd. C'entra, invece, con quella di SeL, che lo vota. I renziani si dicevano disposti a votare Prodi e persino Amato, nonostante mal visto dagli italiani a causa del famoso prelievo notturno sui conti correnti. Ma il sindacalista Marini, proprio no. Le malelingue parlano, infatti, di semplice tattica. Al voto, comunque, Marini non ce la fa.
Il tradimento
Pd e SeL si mettono d'accordo: alla quarta votazione si vota compatti per Prodi. Il professore, però, si ferma a meno di 400 voti, cioè 101 in meno di quelli a disposizione del centrosinistra. Dato che SeL ha "segnato" le proprie schede, scrivendo R. Prodi, il centinaio di traditori sta tutto nel Pd. Il motivo è uno: resa dei conti per la conquista del partito. Si nascondono, ma sul banco degli imputati sono in molti. I dalemiani, ad esempio, che affosserebbero così Prodi, concorrente di D'Alema. I renziani, che vogliono la testa di Bersani dopo le primarie perse per farlo dimettere e scalare il partito. L'area più o meno moderata e cattolica che non ha mai digerito l'alleanza con Sel (e, ancor meno, le ultime notizie di unione col partito di Vendola) in previsione di una rottura in caso di larghe intese votando un candidato Presidente che ne fosse garanzia.
La fine
Il partito allo sbando non trova nomi condivisi, tranne Napolitano, garante delle larghe intese, col benestare di Berlusconi, Monti e Lega Nord. Nei giorni predenti, infatti, Napolitano lanciava appelli in favore delle larghe intese e spacca ancora il Pd tra favorevoli e contrari. Intanto, però, la segreteria si è dimessa e la ruota dovrebbe girare: ora tocca agli altri. Il disegno socialdemocratico bersaniano, insieme alla segreteria dei giovani turchi e all'alleanza con Sel, è andato. E' la fine di un Pd che tentava di essere socialdemocratico. L'incarico ad Enrico Letta, che infatti ha lo scopo di unire Pd, Pdl e Monti, parla da solo. Il Pd va verso destra.
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