Crollano i miti dell'austerità
Uno studio del 2010 di Carmen Reinhart e Kenneth
Rogoff dimostrava, sulla base di un'ampia comparazione storica, l'esistenza di
uno stretto rapporto fra livello del debito pubblico e crescita. Quando il
rapporto fra debito/Pil supera il 90% si aprirebbe la recessione: storicamente,
in media, una contrazione dello 0,1%. Da qui, tutti a ridurre il debito
pubblico. Lo studio, però, conteneva errori
di calcolo. Gli economisti dell'Università del Massachusetts-Amherst hanno
rifatto i conti e scoperto che storicamente, in media, i Paesi con un
debito superiore al 90% crescono del 2,2%.
Uno studio del 1990 di Francesco Giavazzi e Marco Pagano,
che ha ispirato molte ricerche negli anni successivi, analizzava le politiche fiscali
europee adottate durante gli anni Ottanta con particolare riferimento ai casi più estremi
di Danimarca e Irlanda. I risultati suggerivano che politiche di consolidamento del
bilancio pubblico di grandi dimensioni e decisivi sul lato della spesa
avrebbero effetti espansivi sulla domanda aggregata. Fu solo il primo di una
lunga serie: ricerche basate sul "saldo primario corretto per il ciclo
economico" utilizzato dai due economisti nel '90 vengono effettuate da
economisti come Alesina, Perotti e Ardagna ecc. Questo approccio, però, risente
di errori di
misurazione. Ad esempio, la tecnica in questione non riesce ad isolare le
variazioni del gettito fiscale che non dipendono direttamente dalle scelte di
politica economica adottate. Basti pensare ad un boom nel mercato azionario che
aumenta il valore di plusvalenze ed entrate fiscali corrette per il ciclo
economico e, di conseguenza, migliorano anche il saldo primario corretto per il
ciclo: un fenomeno non correlato a decisioni di politica fiscale e che tende a
sopravvalutare l’efficacia della manovra adottata.
Nell’ottobre del 2012, il capo economista del
Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, ammette gli errori di
valutazione commessi dal FMI nello stimare gli effetti dell’austerità e, in
particolare, che i moltiplicatori utilizzati per effettuare le previsioni sulla
crescita vengono sistematicamente sottostimati sin dall’inizio della Grande
Recessione. Blanchard e Daniel Leigh calcolano l’errore di previsione della
crescita per il periodo 2010-11 e stimano valori del moltiplicatore durante la
crisi che oscillano da 0,9 a 1,7, di gran lunga superiori al 0,5 utilizzato
nelle precedenti previsioni di crescita. Cosa vuol dire? Vuol dire che, ad
esempio, le politiche adottate durante il periodo della crisi si basavano sulla
convinzione che ogni dollaro di taglio di spesa pubblica provocasse un calo dei
redditi di mezzo dollaro, ma che la realtà ha smentito queste stime. Secondo i
nuovi calcoli del FMI, ogni dollaro di spesa pubblica in meno provoca una
riduzione del reddito che può arrivare fino a 1,7 dollari.
Gli autori, inoltre, prendono in considerazione
anche le previsioni effettuate da altri istituti come la Commissione europea
(CE), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), e
l’Economist Intelligence Unit (EIU) e dimostrano che gli errori di previsioni
sono comuni e significativi in tutti i casi e lo mostrano nel grafico riportato
di seguito.
I miti dell'austerità stanno cadendo uno dopo l'altro. Che anche la politica ne prenda atto!
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