Stipendi pubblici e inflazione: chi e perché ostacola i rinnovi contrattuali

 


Secondo l’Istat, nel 2022 le retribuzioni cresceranno, in media, dello 0,9% nel settore privato e dello 0,3% nella Pubblica Amministrazione a fronte di un’inflazione del 5,2%. Dopo tanti anni, infatti, i rinnovi contrattuali per alcuni enti pubblici sono stati sbloccati ma, purtroppo, un aumento del livello dei prezzi come non si vedeva da tempo minaccia comunque il nostro potere d’acquisto. Sullo sfondo del grande tema dell’inflazione si consuma dunque ancora una volta il classico conflitto distributivo tra salari e profitti tipico del settore privato, ma si palesa anche il tema del potere d’acquisto degli stipendi dei dipendenti pubblici. 


1. Conflitti distributivi

Se crediamo che il nostro settore sia al riparo da veraci conflitti di questa natura commettiamo, infatti, molto probabilmente un grosso errore. Ci accorgiamo di essere anche noi al centro dell’arena di interessi economici e distributivi contrapposti, ad esempio, già guardando al Documento di Economia e Finanza (DEF) deliberato dal Consiglio dei Ministri, laddove fa espresso richiamo ad una rinnovata attività di revisione della spesa da parte delle amministrazioni centrali dello Stato per finanziare i futuri rinnovi contrattuali nella PA. In altre parole, al fine di coprire l’adeguamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici (per i quali, tra l’altro, sono ancora in corso i negoziati tra Aran e sindacati), il DEF dispone espressamente di tagliare risorse utili a finanziare le strutture ed i servizi pubblici del Paese. Inoltre, alcuni quotidiani in questi giorni stanno sollevando un nuovo spauracchio in proposito: proprio l’inflazione (alla quale dovrebbero essere infatti agganciati in parte i rinnovi contrattuali) rischia di rendere l’incremento delle retribuzioni troppo alto(!) per le casse dello Stato. 

Nonostante siano anni ormai che gli stipendi pubblici si trovavano al palo a causa del blocco delle contrattazioni, vi è insomma di nuovo chi tira di nuovo fuori il vecchio mito dei conti pubblici da tenere in ordine, come se il disastroso fallimento delle politiche di austerità degli scorsi anni non fosse stato abbastanza per seppellire determinate teorie. La realtà è infatti un’altra: contenere la spesa pubblica ed il perimetro dello Stato si traduce in genere anche in maggiore spazio per i profitti privati. In altre parole, servizi pubblici più poveri e meno efficienti aprono maggiori occasioni di profitto in campi come la previdenza privata, la sanità privata, l’istruzione privata e così via. Senza contare che, in generale, stipendi meno attraenti nella pubblica amministrazione finiscono anche per valorizzare di più le occasioni retributive offerte dalle aziende private che cercano personale di qualità e a buon mercato. L’impatto dell’inflazione sui conti pubblici da tenere in ordine è diventato insomma il velo di Maya del momento, utile a celare la realtà di questi conflitti distributivi. 


2. Perché proteggere i redditi dall’inflazione

Proteggere i redditi da lavoro dei dipendenti pubblici vuol dire quindi anche proteggere e valorizzare le nostre professionalità ed il perimetro dello Stato nella nostra economia. 

Inoltre, lo stesso fenomeno inflazionistico ha anche effetti positivi - e non solo negativi - sui conti pubblici. Se da un lato, infatti, con l’aumento dei prezzi aumenta anche la spesa pubblica per stipendi e acquisti di beni, è anche vero che, dall’altro lato, aumentano per la stessa ragione anche le entrate fiscali con cui vengono finanziate quelle spese. Aumenta, ovviamente, anche il Pil (nominale) che va ad abbattere i famosi e temuti rapporti deficit-Pil e debito-Pil con i quali si misura la sostenibilità di quelle finanze pubbliche che si vogliono tutelare. 

Infine, giova ricordare un ulteriore aspetto essenziale per le dinamiche della macroeconomia: la spesa pubblica per redditi da lavoro come i nostri rappresenta una preziosa fonte di domanda per il sistema economico. In altre parole, proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori della pubblica amministrazione dall’aumento dei prezzi vuol dire anche contribuire a sostenere i consumi e la crescita delle nostre economie. 


3. Unire le forze 

Tutte queste riflessioni rappresentano solo una piccola parte di ragionamenti più ampi sulle dinamiche redistributive dell’inflazione, sulla crescita economica, sul ruolo dello Stato e sull’efficienza dei servizi pubblici. Quello che è certo, però, è che lavoratori pubblici e privati, minacciati dall’aumento dei prezzi, devono unire le forze. È infatti anche per queste ragioni che abbiamo scioperato come pubblici dipendenti due anni fa, il 9 dicembre, e che abbiamo preso parte allo sciopero generale, di tutti i settori, lo scorso 16 dicembre. Quello che è certo, insomma, è che dobbiamo sollevare il velo di Maya con cui vogliono celare la realtà del conflitto distributivo per giustificare nuovi attacchi ai dipendenti e ai servizi pubblici ed unire le forze con i lavoratori del settore privato, anch’essi al centro di questo conflitto distributivo, e rivendicare insieme i nostri diritti. 


Fonte: Il blog della FP CGIL INPS 


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