Dal pessimismo all'attivismo perché «mi rivolto, dunque siamo»

Sul blog della CGIL Inps un mio contributo sulle ultime scelte politiche sul pubblico impiego e sul perché e come il mondo del lavoro può reagire, apparso col titolo "Dal lavoro agile negato alle pagelline: passiamo dal pessimismo all'attivismo".

Nelle ultime settimane, diverse disposizioni sull'organizzazione del pubblico impiego hanno finito per creare malumori tra i dipendenti della pubblica amministrazione italiana. Il ridimensionamento dello smart working deciso con il DPCM del 23 settembre, il rapido rientro in sede e l'incertezza sulle modalità del prossimo futuro sono sicuramente tra le ragioni principali ed, infatti, se n'è parlato molto anche su questo blog. Non si tratta dell’unica disposizione che, ultimamente, ha finito per creare inquietudine e senso di impotenza in molti di noi. In Inps, ad esempio, sono state da poco anche introdotte le valutazioni della performance individuale alle quali, come prevede la legge con l’art. 45 del D. lgs. 165/2001, sarà legato il percepimento di un trattamento economico, con tutti i rischi che può comportare su quello che, finora, era uno spirito di collaborazione (e non di competizione) molto diffuso nell’ente. Sebbene questa misura sia stata decisamente ridimensionata e ridotta ai minimi termini grazie alla negoziazione sindacale, anche in questo caso - come per la questione smart working - si è trattato comunque di una disposizione di legge, a cui l’ente doveva anche adeguarsi da tempo. Tra le altre ragioni di questo malumore generalizzato che si avverte tra i lavoratori, vi sono diversi temi come la riapertura indiscriminata degli sportelli, le basse aspettative sul prossimo adeguamento delle retribuzioni al costo della vita e, più in generale, il brutto clima che, esternazione dopo esternazione, il Ministro Renato Brunetta sta costruendo nuovamente intorno al mondo del pubblico impiego. 


Non c’è dubbio che lo spazio tra le aspettative dei lavoratori e le loro conquiste concrete si sia rivelato diverse volte piuttosto ampio. Le negoziazioni sindacali non sempre raggiungono tutti i risultati desiderati e spesso si fermano, ovviamente, davanti al muro di disposizioni scritte nella pietra delle norme approvate dal Parlamento. È il caso dei decreti richiamati in precedenza, ad esempio. Per non parlare, guardando al mondo del lavoro più in generale, delle norme che consentono contratti sempre più precari, licenziamenti sempre più facili, insicurezza sui posti di lavoro, delocalizzazioni a costo minimo, e così via. Tutti campi in cui le organizzazioni dei lavoratori sfidano Golia ma, a dispetto della vicenda biblica, non sempre condividono il destino di Davide. 


Le ragioni dietro la mancata conquista di molti diritti - dal lavoro agile nella P. A. fino al diritto di proteggere i posti di lavoro in un’azienda che vuole delocalizzare - sono sicuramente molteplici. Tra queste, a parere di chi scrive, due sono particolarmente importanti ed attuali. Innanzitutto, le sponde parlamentari che trova il sindacato non sono numerose e forti come potevano essere fino a venti o trent’anni fa. In altre parole, se in Parlamento continuano a passare decreti come quelli richiamati in precedenza, è anche perché la maggior parte delle forze politiche oggi non ha una vocazione prevalentemente pro-labour. La seconda ragione, molto più interna alla classe dei lavoratori stessa, è che il famoso tasso di conflittualità si è drasticamente ridotto rispetto a venti o trent’anni fa (basti pensare alla riduzione del numero e dell’adesione agli scioperi) e, con esso, anche tutto quello che è partecipazione e coinvolgimento dei singoli individui all’interno delle organizzazioni sindacali. 


Se dunque vogliamo rendere più forti le nostre rivendicazioni, è anche da questi due punti che dobbiamo ripartire. C’è bisogno allora ancora di più attivismo dentro e fuori il sindacato, a partire dai singoli territori, per spostare l’asse di un indirizzo politico troppo lontano dal mondo del lavoro. Ad esempio, anche costruire nuove reti con le altre organizzazioni locali in ogni singolo territorio aiuta a rendere conosciuti e riconoscibili noi e le nostre ragioni e rivendicazioni. E c’è poi bisogno, da parte di tutti noi, di promuovere le manifestazioni e le azioni proclamate dal sindacato della nostra categoria e quelle proclamate da tutta la federazione sindacale nel segno della solidarietà tra le diverse tipologie di lavoratori (pubblici e privati, nativi e immigrati, etc.), per identificarci tutti come unica classe lavoratrice e sostenerci a vicenda. 


La strada è lunga, ma non si è soli. E non è solo coscienza di classe: già nel momento stesso in cui ogni individuo dice il suo “No” riconosce un’ingiustizia comune, smette di essere solo e si identifica con gli altri. Per prendere in prestito la famosa ed efficace espressione del filosofo francese Albert Camus, «mi rivolto, dunque siamo».


Fonte: BeInps il blog della CGIL Inps




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