Aumentare debito e deficit (!)
Il titolo di questo post, che di
questi tempi sembra un'eresia, non è altro che una possibile scelta di una semplice ricetta
economica. I mantra "ridurre il debito pubblico" e "controllare il
deficit", però, sono stati ripetuti tante volte attraverso i media da essere ormai
entrati nella testa di tutti, al punto tale da rendere inimmaginabile una
politica che si basi sul loro incremento.
Su questo blog, si è già scritto che:
1) la ricerca economica non ha dimostrato che l'elevato debito pubblico provoca una riduzione del Pil. Sintetizzando un post precedente, uno studio molto influente di Reinhart e Rogoff datato 2010 sosteneva che quando il rapporto debito/Pil supera il 90%, i redditi si ridurrebbero in media dello 0,1%. Gli economisti del Massachusetts-Amherst hanno scoperto gli errori di calcolo di quella ricerca e dimostrato che, al contrario, i Paesi con un debito pubblico superiore al 90% del Pil crescono del 2,2% in media e che non esiste un nesso causale tra le due variabili;
2) ridurre il deficit pubblico distrugge reddito netto o risparmio nel settore privato ed esso non costituisce nè l'unica nè la più importante determinante degli elevati rendimenti pagati sul debito. In un post precedente si trovano i grafici che dimostrano la prima affermazione e si sintetizza il pensiero di Emiliano Brancaccio in merito alla seconda: altre variabili, come ad esempio il disavanzo delle partite correnti, sono più importanti del disavanzo del bilancio pubblico nel determinare i famosi spread sui titoli di Stato.
1) la ricerca economica non ha dimostrato che l'elevato debito pubblico provoca una riduzione del Pil. Sintetizzando un post precedente, uno studio molto influente di Reinhart e Rogoff datato 2010 sosteneva che quando il rapporto debito/Pil supera il 90%, i redditi si ridurrebbero in media dello 0,1%. Gli economisti del Massachusetts-Amherst hanno scoperto gli errori di calcolo di quella ricerca e dimostrato che, al contrario, i Paesi con un debito pubblico superiore al 90% del Pil crescono del 2,2% in media e che non esiste un nesso causale tra le due variabili;
2) ridurre il deficit pubblico distrugge reddito netto o risparmio nel settore privato ed esso non costituisce nè l'unica nè la più importante determinante degli elevati rendimenti pagati sul debito. In un post precedente si trovano i grafici che dimostrano la prima affermazione e si sintetizza il pensiero di Emiliano Brancaccio in merito alla seconda: altre variabili, come ad esempio il disavanzo delle partite correnti, sono più importanti del disavanzo del bilancio pubblico nel determinare i famosi spread sui titoli di Stato.
Quello che è ormai diventato il "pensiero unico" su debito e deficit, insomma, non può essere considerato una verità assoluta. Ed è inutile ricordare quello che è sotto gli occhi di tutti: le politiche di austerità adottate per ridurre quelle due variabili si sono dimostrate fallimentari. Tagli alla spesa pubblica e aumento della pressione fiscale, infatti, provocano una caduta dei redditi ed il peggioramento degli stessi conti pubblici che vorrebbero sanare. Ed è anche inutile ricordare che una politica alternativa di incremento di spesa e taglio delle tasse (che, se vuole essere davvero utile all'economia, deve essere generosa) richiederebbe risorse tali da far saltare i conti, almeno in un primo momento.
E allora, quali sarebbero le conseguenze di un "eretico" aumento del debito pubblico e/o del deficit in paesi in crisi come l'Italia?
Gli economisti de lavoce.info, indagando sull'opportunità di cedere o meno le partecipazioni dello Stato in Eni ed Enel, fanno notare come il rendimento di un euro investito in queste società sia superiore agli interessi pagati su un euro del debito pubblico che verrebbe eliminato dalla vendita delle partecipazioni. Se non è conveniente vendere, di conseguenza, è conveniente comprare e per farlo è necessario ricorrere al debito pubblico. L'incremento, in questo e in casi del genere, si rivelerebbe positivo: "con ciò che si guadagnerebbe in termini di indebitamento netto (si incassano più dividendi di quanto si paghi di interessi passivi), si investirebbe per la crescita che farebbe giungere il paese al 2016 con maggiore debito in valore assoluto, ma con un minore rapporto debito-Pil".
E allora, quali sarebbero le conseguenze di un "eretico" aumento del debito pubblico e/o del deficit in paesi in crisi come l'Italia?
Gli economisti de lavoce.info, indagando sull'opportunità di cedere o meno le partecipazioni dello Stato in Eni ed Enel, fanno notare come il rendimento di un euro investito in queste società sia superiore agli interessi pagati su un euro del debito pubblico che verrebbe eliminato dalla vendita delle partecipazioni. Se non è conveniente vendere, di conseguenza, è conveniente comprare e per farlo è necessario ricorrere al debito pubblico. L'incremento, in questo e in casi del genere, si rivelerebbe positivo: "con ciò che si guadagnerebbe in termini di indebitamento netto (si incassano più dividendi di quanto si paghi di interessi passivi), si investirebbe per la crescita che farebbe giungere il paese al 2016 con maggiore debito in valore assoluto, ma con un minore rapporto debito-Pil".
Come fa notare Riccardo Realfonzo, inoltre, paesi come l'Italia hanno bisogno di politiche espansive e, quindi, di liberare quelle risorse finora costrette sotto il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. Secondo l'economista, portare verso lo zero l’avanzo primario italiano già nel 2013,
lasciando crescere il rapporto deficit/Pil oltre il 5,5%, libererebbe almeno 35 miliardi di euro. Una simile manovra, spiega Realfonzo sul Sole 24 Ore, genererebbe una
crescita del Pil di oltre 45 miliardi di euro, ben 3 punti di prodotto interno lordo: "Alcuni studi relativi all’Italia mostrano che in
condizioni recessive il moltiplicatore della spesa pubblica supererebbe il
valore di 2 (ma esistono anche stime di moltiplicatori pari a 3)", ma considerando prudentemente "il valore medio (pari a 1,3) dell’intervallo
calcolato dal capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier
Blanchard (...) l’azzeramento del nostro avanzo genererebbe una
crescita del Pil di oltre 45 miliardi di euro". Secondo l'economista, infine, "entro 9-15 mesi, raggiunto il picco
espansivo, anche gli effetti immediati di incremento di deficit e debito risulterebbero
in buona misura compensati da due fattori: l’aumento stesso del Pil, che naturalmente
abbatte i rapporti significativi di finanza pubblica, e la crescita delle
entrate fiscali, che trainate dalla ripresa incrementerebbero di almeno un
punto di Pil".
Al di là dei dogmi che ci vengono inculcati attraverso i media, insomma, i dati dimostrano che un'alternativa è possibile. L'importante è far saltare certi tabù.
Al di là dei dogmi che ci vengono inculcati attraverso i media, insomma, i dati dimostrano che un'alternativa è possibile. L'importante è far saltare certi tabù.
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